Commento all’accordo del 18 marzo 1996
Per i sindacati il miglioramento delle condizioni economiche dell’azienda e le norme relative alla contrattazione di secondo livello, previste dal Protocollo del 23 luglio 1993 e inserite nel Contratto nazionale di lavoro, ponevano le basi anche alla Fiat per la riapertura di una vertenza di Gruppo. La discussione interna si aprì già nell’estate del 1995, in cui furono formulate le prime proposte. Una prima ipotesi sindacale fu di raggruppare in un’unica vertenza l’insieme delle società del Gruppo Fiat, compresa la Magneti Marelli, che in precedenza aveva proceduto autonomamente. Tuttavia questa ipotesi resse solamente in parte, poiché le rappresentanze sindacali della Sata e della Fma rivendicarono l’autonomia contrattuale e pretesero di condurre una trattativa parallela a quella della restante parte del Gruppo. La piattaforma rivendicativa fu approvata in una serie di riunioni del Coordinamento sindacale del Gruppo, tra la fine di ottobre e l’inizio del novembre 1995, mentre a metà novembre si tenne il referendum di approvazione e mandato sulla piattaforma tra tutti i lavoratori.
La piattaforma comprendeva la rivendicazione di un sistema di relazioni industriali partecipativo, con l’allargamento della struttura delle commissioni congiunte, la definizione di un sistema previdenziale di Gruppo collegato al fondo nazionale (ancora da costituire), una serie di miglioramenti normativi sull’orario di lavoro e il premio di risultato. Quest’ultima rivendicazione fu definita successivamente da un’apposita commissione unitaria di lavoro, che stabilì una rivendicazione basata su una parte “fissa”, che doveva assorbire anche il P.P.G., e una parte variabile legata a un indice costituito per metà dai ricavi procapite e per l’altra metà dal R.O.I. [Return on investment = (risultato operativo/capitale investito netto) x 100]; a questo si doveva aggiungere un premio a livello di stabilimento legato alla qualità del prodotto/processo (scarti, resi dai clienti e tempi di attraversamento). Complessivamente una richiesta d’incremento di due milioni annui.
Da parte loro i rappresentanti sindacali degli stabilimenti di Sata e Fma presentarono specifiche rivendicazioni normative e la richiesta di un adeguamento alle condizioni retributive degli altri stabilimenti Fiat.
Già nei primi incontri, all’inizio di dicembre, l’azienda pose una pregiudiziale nell’affrontare una serie di questioni normative e salariali che, secondo la Fiat esulavano dalle competenze della contrattazione di secondo livello, mentre si dichiarava disponibile a discutere di relazioni industriali, previdenza integrativa e premio di risultato. Il confronto, iniziato già con un elemento di contrasto sulle materie da trattare, durò alcuni mesi, arrivando all’inizio del mese di marzo del 1996 a una proposta ultimativa da parte della Fiat, mentre era ancora in atto la moratoria contrattuale. Il negoziato per Sata e Fma si sviluppò in due fasi: un primo accordo fu sottoscritto il 31 gennaio 1996 e un secondo il 2 aprile 1996.
Nella fase finale della trattativa la proposta della Fiat sul premio di risultato determinò una spaccatura tra le organizzazioni sindacali, in merito alla risposta da dare: secondo la Fiom il meccanismo premiante proposto dalla Fiat era molto distante dalle rivendicazioni presentate: era legato a indicatori estremamente aleatori per i lavoratori e era basato su previsioni di sviluppo poco credibili; mentre per le altre organizzazioni poteva esser un terreno possibile d’intesa. In realtà la Fiat aveva formulata una proposta ultimativa, un “prendere o lasciare”, avendo compreso la divisione e la conseguente debolezza sindacale. Alla fine la Fiom, dopo aver chiesto inutilmente la riunione del coordinamento nazionale Fiat, ricorse al regolamento unitario per chiedere la riunione delle Rsu e un voto esplicito sulla proposta Fiat. Le Rsu a maggioranza votarono a favore dell’accordo (661 voti a favore, 558 contro e 19 astenuti) e la Fiom dichiarò di accettare il voto delle Rsu, aderendo all’intesa ma mantenendo il “giudizio negativo sulla proposta salariale della Fiat”. Un supplemento di trattativa servì a includere il premio di risultato nella base di calcolo del Tfr.
L’accordo si articola in tre parti dedicate, rispettivamente, ai “rapporti sindacali”, al “premio di risultato” e agli “aspetti normativi”. Al testo principale fecero seguito due allegati che contenevano due novità. Il primo era costituito da un accordo specifico che istituiva il Comitato aziendale europeo (Cae) dei lavoratori del gruppo Fiat; il secondo dalla disciplina relativa all’introduzione nelle aziende del gruppo, “in applicazione di quanto previsto dall’articolo 18del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626”, di una nuova figura di delegato, il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Rls).
La prima parte dell’accordo principale istituì una complessa strumentazione partecipativa, che si articolava su una serie di osservatori, comitati e commissioni operanti, rispettivamente, a livello di gruppo, di settore e di unità produttiva. Tra i più importanti, l’osservatorio sulle relazioni sindacali, i comitati di consultazione, istituiti per i principali settori del gruppo, i comitati pari opportunità, impiegati, formazione professionale, le commissioni fabbrica integrata, qualità prodotto e partecipazione. Sempre nell’accordo principale, sono contenute interessanti novità anche in materia di lavoro a tempo parziale per gli impiegati e, nella terza parte, di flessibilità nell’orario d’ingresso per alcuni gruppi di operai.
Per quanto riguardava la Fiom “l’adesione critica” all’accordo riguardava soprattutto il premio di risultato, che presentava un meccanismo giudicato troppo aleatorio nei risultati, collegato a dati complessivi di bilancio e assolutamente estraneo a qualsiasi elemento di produttività e qualità a livello di stabilimento. In effetti, il premio di risultato era composto sostanzialmente da tre parti, ciascuna delle quali dava origine a uno specifico risultato retributivo: i) il precedente P.P.G. rivalutato nei suoi valori e depurato dalla parte relativa alla qualità; ii) una quota collegata al Roi che si attivava quando quest’ultimo superava il 6%; iii) una quota legata alla qualità di settore misurata attraverso specifici indicatori individuati dall’azienda. Quest’ultima quota di premio era in realtà costituita da due parti: la prima legata al settore (ad esempio, per Fiat Auto è “l’indice di soddisfazione del cliente” rilevato attraverso indagini campione sui clienti); la seconda è un indice di qualità globale calcolato sulla base delle variazioni dei costi per le perdite di mano d’opera e materiali. In tal senso era un premio fatto apposta per non dare al sindacato la possibilità di stabilire un collegamento tra il confronto sui risultati del premio e la contrattazione dei cambiamenti organizzativi e tecnologici; anche se si notava malignamente, da parte sindacale, che la quota legata alla qualità presentava elementi di certezza, perché era difficile ritenere che la Fiat dichiarasse un andamento negativo della qualità del proprio prodotto, proprio per ragioni d’immagine e di mercato.
La tabella illustra qual è stato l’andamento del premio di risultato nel corso degli anni: per semplificare si è illustrato l’andamento del premio in Fiat Auto, considerando che le differenze tra le diverse società del Gruppo sono molto contenute. Le erogazioni illustrate nella tabella si riferiscono al totale annuo, comprensivo quindi dell’anticipo mensile (160.000 lire) e del conguaglio nel mese di luglio. Tuttavia queste cifre comprendono anche gli effetti dell’accordo del 4 luglio 1989, che istituiva il P.P.G., perciò per una valutazione realistica degli effetti retributivi del nuovo accordo è necessario detrarre le quote del P.P.G., che sarebbero in ogni caso maturate per effetto del citato accordo del 4 luglio 1989, i cui valori sono riportati nella seconda colonna della tabella (in corsivo). Negli anni successivi l’elemento che ha penalizzato l’erogazione del premio è stato l’insufficiente risultato del Roi, che dal 1998 è sempre inferiore al 6%, quindi non vi è la corrispondente quota di premio. Si deve aggiungere che il premio aveva validità fino al 1999, ma è stato prorogato successivamente a causa del mancato rinnovo del contratto aziendale.
Il fatto che la conclusione dell’accordo Fiat sia avvenuta senza scioperi ha contribuito ad alimentare la tesi che questo accordo abbia rappresentato una svolta sul terreno della partecipazione. In particolare, da parte dei mezzi d’informazione era stato messo in evidenza come una fase di passaggio e un cambiamento di mentalità nei rapporti tra azienda e lavoratori richiedevano una reciproca fiducia e una reciproca assunzione di responsabilità a tutti i livelli; ciò in conseguenza del fatto che nelle moderne teorie organizzative il fattore umano assumeva importanza prioritaria rispetto anche le tecnologie, proprio perché la competizione globale costringeva le aziende ad affrontare sfide difficili per mantenere o rafforzare le proprie posizioni di mercato. In tal senso, un sistema di relazioni sindacali partecipative rappresentava un elemento di grande potenzialità. Tutte queste osservazioni non possono che essere condivise, ma proprio per questo è necessario esaminare alcuni elementi contradditori che erano presenti nella trattativa e nel testo concordato.
Non c’è dubbio che il nuovo sistema partecipativo si innestava, a differenza di quanto è accaduto a Melfi, su una ricca storia contrattuale e su un articolato tessuto negoziale, che prendeva le mosse dall’accordo del 5 agosto 1971 e dalle strutture di contrattazione ivi definite. Per espressa volontà della Fiat le nuove commissioni di partecipazione non avevano natura negoziale e coabitavano con il sistema contrattuale precedente. Questa coabitazione poteva essere giudicata, a seconda dei punti di vista, come un limite del sistema partecipativo o come una garanzia di mantenimento del precedente sistema contrattuale. In ogni caso rappresentava il punto di equilibrio cui le parti si erano riferite nel corso della trattativa. È opportuno aggiungere che il sistema stesso nasceva indebolito dal tipo di ruolo che era stato assegnato alle rappresentanze sindacali unitarie. L’accordo, infatti, insisteva nel collegare in modo troppo rigido le Rsu a ciascuna delle organizzazioni sindacali. Da una parte veniva così riconfermata una logica d’appartenenza estranea al carattere unitario delle Rsu, in quanto rappresentanze elette da tutti i lavoratori; dall’altra rischiava di negare il principio secondo cui le Rsu, operando assieme alle organizzazioni sindacali, dovevano avere un ruolo a esse paritario e codecisionale per ciò che riguarda la contrattazione aziendale, così come prevedeva il contratto nazionale di lavoro. Questi elementi comportavano conseguenze nel far risorgere una logica di divisione e di eterodirezione delle Rsu.
In secondo luogo va osservato che, durante la trattativa, la Fiat aveva presentato la richiesta d’istituire una commissione di conciliazione e prevenzione del conflitto dotata di poteri deliberanti. Tale richiesta era stata respinta dai sindacati poiché non era equilibrata da una corrispondente disponibilità aziendale alla costituzione di un sistema partecipativo compiuto che fosse in grado d’intervenire in modo vincolante sui problemi dell’organizzazione del lavoro. La Fiat, insomma, pretendeva di raffreddare il conflitto sindacale, ma non accettava di discutere preventivamente le proprie scelte organizzative in funzione di un più ampio consenso.
Questa impostazione contraddice la sostanza stessa della partecipazione, almeno come storicamente si è realizzata in Europa, dove normalmente la contrattazione preventiva dell’organizzazione del lavoro nelle sue diverse articolazioni (prestazione lavorativa, ergonomia, sicurezza, professionalità, formazione ecc.) è il principale terreno d’incontro tra Direzione e rappresentanza sindacale. Un ulteriore elemento di giudizio si può ricavare dalla struttura delle commissioni di partecipazione e dai loro ruoli e compiti definiti, soprattutto paragonandoli a sistemi analoghi, come quello concordato alla Electrolux Zanussi nello stesso periodo, che presentava caratteristiche molto avanzate e un modello di relazioni partecipative molto definito nei compiti e negli obblighi reciproci.
Il sistema di commissioni istituito alla Fiat in parte generalizzava quelle previste nei diversi accordi precedenti e in parte ne istituiva delle nuove. Si poteva osservare una certa propensione per le attività di analisi e studio, mentre erano molto limitate le possibilità di assumere competenze decisionali e deliberative, che si riducono sostanzialmente alla ristorazione aziendale e ai casi previsti dalla legge sulle materie della sicurezza sul lavoro e sulle pari opportunità donna-uomo. Inoltre si deve aggiungere che non sono previste procedure che implicano un certo obbligo reciproco ad affrontare determinate materie e a risolvere gli eventuali problemi o contenziosi. A differenza del citato esempio dell’Electrolux, l’intero sistema non comporta obblighi reciproci e percorsi obbligati tra le parti; la partecipazione rappresenta unicamente un’eventualità che per essere attuata ha bisogno del consenso di entrambi le parti interessate e che può anche interrompersi senza conseguenze se una delle parti non la ritiene più utile. Pertanto il sistema di partecipazione delineato è stato ritenuto sperimentale o opportunistico, a seconda delle propensioni e dei punti di vista: nella prima considerazione si tratterebbe di un primo passo verso un sistema più evoluto, quindi una sorta di formazione sul campo per il sistema sociale di fabbrica, in modo che si adatti alle logiche partecipative; mentre per la seconda ipotesi è un sistema fatto in modo da non funzionare, solo adatto a trasmettere l’immagine della “partecipazione”, ma strutturalmente incapace di produrre reali effetti sociali, proprio perché la Fiat si proponeva di limitare al minimo la possibilità di condizionamento da parte sindacale.
In realtà l’esperienza successiva dimostrò molti limiti, come il fatto che in alcuni importanti stabilimenti alcune commissioni non sono mai state convocate, mentre altre hanno funzionato in modo molto saltuario. Nell’insieme il sistema individuato dall’accordo del 18 marzo 1996 presenta troppe ambiguità per affermare che la Fiat abbia avuto una reale intenzione di attuare la scelta della partecipazione con le organizzazioni sindacali, mentre quest’ultime erano segnate dalle divisioni interne che non consentivano un ruolo efficace nell’incalzare l’azienda su questo terreno. Tra i pochi materiali prodotti dalle commissioni congiunte si possono registrare il verbale di riunione del 17 aprile 1998 dell’Osservatorio di Gruppo sulle relazioni sindacali che recepisce le normative elaborate dai gruppi di studio congiunti sull’applicazione del part time per gli impiegati e sul Cae; inoltre il verbale di riunione del 18 maggio 1998 sui processi di terziarizzazione.