Commento all’accordo del 20 febbraio 1994
Dopo molti mesi, in cui i dati della crisi e della cassa integrazione settimanale si aggravano, alla fine del 1993 la Fiat annunciò un nuovo piano di ristrutturazione con un elevato numero di esuberi, che tra quelli transitori e quelli strutturali assommavano a circa 15.000 lavoratori, tra cui circa 3.800 tra gli impiegati e i quadri. Inoltre, l’azienda annunciò che intendeva procedere alla chiusura della Sevel in Campania e che si ponevano gravi problemi per lo stabilimento di Arese, per il quale non era previsto una nuova produzione dopo la cessazione della 164. Procedere al licenziamento dei propri quadri era un fatto assolutamente nuovo, mai successo nella storia della Fiat, per il particolare significato che avevano sempre rivestito queste figure nelle filosofie aziendali; inoltre, era evidente che con la loro estromissione la Fiat rinunciava a competenze professionali non facilmente rimpiazzabili. In effetti, durante il conflitto del 1980 la Fiat aveva fatto ricorso ai quadri per piegare il sindacato, sancendo una sorta di “alleanza” sociale; perciò la cosa ebbe immediatamente una risonanza nazionale. La Fiat motivò questa scelta con l’esigenza di alleggerire la struttura dei costi che era diventata troppo “pesante”, soprattutto sul versante degli impiegati, perciò propose di licenziare i quadri e gli impiegati che avevano superato un certo limite di età, in modo di dare loro la possibilità di andare in pensione al termine della mobilità. In definitiva le trasformazioni del mercato e l’acuirsi della competizione mettevano definitivamente in crisi uno dei principali aspetti nella gestione aziendale delle relazioni sociali: l’occupazione garantita a vita. La credibilità di questa politica aveva retto anche dopo il 1980, ma dopo questo annuncio fu evidente per tutti i dipendenti che un’epoca era finita.
La trattativa iniziò alla fine del novembre 1993 e immediatamente fu richiesto dai sindacati l’intervento del governo. La vertenza durò alcuni mesi e vide una straordinaria mobilitazione degli interessati in accordo con i sindacati. I contrasti maggiori si determinarono soprattutto sul piano industriale di rilancio della Fiat e sulla tipologia di strumenti da utilizzare per ridurre le eccedenze, dove la Fiat insisteva sulla procedura di mobilità, mentre i sindacati si proponevano di utilizzare soprattutto manovre di riduzione temporanea dell’orario di lavoro con il ricorso ai contratti di solidarietà. Su quest’ultimo punto la Fiat aveva espresso sempre viva contrarietà, facendone un punto di principio, ma alla fine dovette parzialmente cedere. Una prima intesa, che comprendeva il contratto di solidarietà per una parte dei lavoratori, fu raggiunta con l’accordo che concordava la ristrutturazione dell’Iveco, il 27 gennaio 1994. Ancora più importante, perché mise fine alla vertenza di Gruppo, fu l’accordo del 20 febbraio 1994, raggiunto al tavolo del Ministero del lavoro. In quest’ultimo accordo il piano industriale concordato prevedeva investimenti complessivi di 40.000 miliardi per il periodo 1991 – 1997 (di cui una parte già realizzata), il riconoscimento dello stato di ristrutturazione per tre anni per Fiat Auto e specifiche soluzioni per quanto riguardava i singoli stabilimenti, in particolare quello di Arese, per il quale si indicavano nuove iniziative industriali in previsione della cessazione dei modelli di auto in produzione, mentre la Sevel fu chiusa con lo spostamento dei lavoratori allo stabilimento di Pomigliano. La soluzione per Arese era particolarmente complessa, perché prevedeva alcuni impegni legislativi e finanziari del governo per attivare dei Consorzi destinati alla ricerca di vetture a basse emissioni e ridotto impatto ambientale. Per quanto riguardava il problema degli esuberi furono concordati una serie di strumenti: mobilità intergruppo, formazione professionale, comando-distacco, contratti di solidarietà, fermate periodiche con l’utilizzo della Cigs, mobilità incentivata con “aggancio” alla pensione, ma soprattutto il prepensionamento, su cui il Ministero predispose un apposito decreto; infatti, una serie di successive intese, alcune sempre presso il Ministero del lavoro, sancivano l’utilizzo di 6.600 prepensionamenti e l’applicazione degli altri strumenti previsti. Ovviamente questa riduzione degli organici aziendali comportava un consistente onere a carico della spesa pubblica, cosa che suscitò qualche spunto polemico sulle pagine dei giornali. Si deve considerare che, nella prima metà degli anni novanta, i processi di ristrutturazione in Fiat furono accompagnati da oltre 11.000 pensionamenti anticipati e da procedure di mobilità con accompagnamento alla pensione per circa 5000 lavoratori.
Il 1994 e il 1995 furono caratterizzati soprattutto dalla contrattazione sui piani di riorganizzazione e ristrutturazione delle varie società del Gruppo, che accompagnarono l’operazione di ricapitalizzazione voluta da Mediobanca; con le risorse che si resero disponibili fu possibile realizzare un adeguato piano d’investimenti e ciò consentì la ripresa economica e produttiva dell’azienda; già all’inizio del 1995 Fiat Auto riscontrò una forte ripresa del mercato che fu affrontata con l’accordo del 27 marzo 1995, che stabilì il rientro della Cigs e un elevato numero di sabati di straordinario.